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Cala a sorpresa la produzione industriale a marzo

Cala a sorpresa la produzione industriale a marzo

La produzione industriale italiana è calata ancora a sorpresa a marzo (-0,6% m/m), come già era accaduto il mese precedente (le aspettative di consenso vedevano un rimbalzo di 0,3% m/m).

Su base annua (corretta per gli effetti di calendario), l’output è diminuito ulteriormente a -3,2% dopo il -2,3% di febbraio: è il secondo dato più basso dal 2020. L’indice destagionalizzato è tornato al di sotto dei livelli pre-pandemici (-0,2% rispetto a febbraio 2020), come non accadeva da gennaio 2022, ed è ora inferiore di -2,8% rispetto al livello precedente la guerra in Ucraina (febbraio 2022).

Il calo di marzo è dovuto ai beni di consumo non durevoli (-1,9% m/m) e all'energia (-1,4% m/m), mentre la produzione di beni strumentali e di beni durevoli ha visto un rimbalzo dopo la flessione del mese precedente (rispettivamente +0,7% da -0,7% e +0,6% da -1,8%). La produzione di beni intermedi è scesa, seppur moderatamente (-0,4%), per il settimo mese consecutivo, confermando che le imprese hanno reagito all'aumento dei costi di produzione interni sostituendo parte della loro catena del valore con importazioni di beni intermedi dall'estero. La produzione in tutti i principali gruppi di prodotti rimane ben inferiore ai livelli di un anno prima, con la sola eccezione dei beni strumentali (+3,9% a/a da +3,5% di febbraio).

Nel solo settore manifatturiero, il calo della produzione nel mese è stato lievemente meno pronunciato rispetto a quello dell’indice generale (-0,4% m/m). A parte l'industria della raffinazione, molto volatile (che ha registrato un rimbalzo di oltre l'11% m/m dopo il calo di circa la stessa entità registrato a febbraio), diversi settori, tra cui alcuni ad alta intensità energetica, hanno registrato una contrazione su base mensile: tra questi, farmaceutico (-4,7%), gomma e plastica (-2%), chimica (-1,5%) e tessile e abbigliamento (-1,4%). In positivo troviamo i mezzi di trasporto (5,3% m/m) e le apparecchiature elettriche (2,4% m/m). Il primo è il settore più brillante su base annua (+12,4% a/a), grazie alla normalizzazione delle catene del valore globali (con conseguente riduzione delle problematiche di approvvigionamento di componentistica, in particolare di semiconduttori): in particolare, la produzione di autoveicoli registra una crescita del 17,4% m/m e del 35,8% a/a (un massimo da giugno 2021).

In generale, l'industria italiana è risultata più resiliente del previsto, e di quella di altri Paesi dell'Eurozona, per la maggior parte dello scorso anno, in quanto ha sofferto meno delle problematiche di approvvigionamento grazie a catene del valore più integrate domesticamente, a minori legami con l'Europa dell'Est e la Cina, e a un peso minore del settore automotive. Inoltre, nella fase iniziale dello shock energetico l'Italia è stata colpita meno di quanto si temesse, grazie a una specializzazione settoriale della produzione, e dell’export, su comparti a intensità energetica relativamente bassa (meccanica, farmaceutica, moda, alimentari lavorati). Viceversa, negli ultimi mesi la produzione industriale in Italia sta mostrando un andamento meno favorevole a quello visto negli altri Paesi dell'Eurozona , proprio per via di un minor impatto positivo del contro-shock sui fattori di offerta (moderazione dei prezzi energetici e minori carenze di materiali), data appunto la minor rilevanza dei settori ad alta intensità di energia e di semiconduttori. Inoltre, la ripresa della domanda cinese è senz’altro più trainante per altre economie europee come la Germania che non per l'Italia. Infine, i comparti energivori in Italia sembrano reagire meno alla moderazione dei prezzi energetici piuttosto che in altri Paesi europei, probabilmente a causa di interventi governativi diretti meno pervasivi, e di un maggiore ritardo nella trasmissione dei prezzi all'ingrosso dell'energia sugli utenti finali.

La produzione industriale ha chiuso il 1° trimestre con una flessione di -0,1% t/t, confermando che non è dall'industria in senso stretto che è arrivato il sorprendente rimbalzo del PIL (+0,5% t/t) visto a inizio anno (pensiamo che sia stato alimentato dai servizi e dalle costruzioni).

In generale, siamo tornati in una fase in cui sta emergendo una divergenza tra industria manifatturiera e servizi. Le indagini relative al mese di aprile hanno segnalato che non è dal settore manifatturiero che è lecito attendersi una spinta significativa al PIL anche nei prossimi trimestri, in quanto il supporto dalla “normalizzazione” dei fattori di offerta (minori prezzi dell’energia e minori carenze di materiali) sta gradualmente venendo meno, e la domanda per i beni industriali va indebolendosi. Al contrario, l’attività nel settore dei servizi rimane vivace, in particolare nei servizi aggregativi precedentemente colpiti dallo shock COVID-19, probabilmente ancora sulla scia della ripresa di mobilità post-pandemica (anche grazie all'utilizzo degli extra-risparmi accumulati negli ultimi tre anni).

In prospettiva, almeno nei trimestri centrali dell'anno, il PIL italiano dovrebbe essere ancora sostenuto dai servizi, in un contesto in cui l'industria potrebbe non contribuire al valore aggiunto, e le costruzioni sono attese ancora fornire un apporto positivo nel breve termine ma dovrebbero gradualmente perdere slancio. Ci aspettiamo che la crescita del PIL su base congiunturale nei prossimi trimestri possa essere meno vivace rispetto a quella vista a inizio anno: stimiamo un’attività economica in aumento in media di 0,2% t/t nei restanti trimestri dell'anno (il che sarebbe coerente con un'espansione dell'1% per l'intero 2023).

Commento di Paolo Mameli, senior economist della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

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