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Passato e futuro della cultura europea - Donald Sassoon

Immaginate nella seconda metà dell’800: un giovane scrittore o scrittrice italiana discute con un editore di un romanzo che sta scrivendo, un romanzo storico alla maniera di Walter Scott o di Alexandre Dumas. E immaginate la risposta del vecchio e scaltro editore.

“Cara ragazza, cara ragazza mia, lascia che ti spieghi un paio di cose sulla nostra industria. A differenza della Germania o della Gran Bretagna o anche della Francia, in Italia non vendiamo molti libri. L'ampiezza limitata del nostro mercato e la sua frammentazione linguistica è forse un riflesso delle esigue dimensioni della nostra borghesia. I nostri borghesi compensano la loro arretratezza fingendo di essere molto colti. Alcuni leggono perfino dei libri. 

Il problema è che le nostre élites colte conoscono il francese e pensano che qualsiasi cosa in francese sia migliore. E, devo ammettere che non possiamo competere con Balzac, Hugo, Dumas.

Questi lettori colti, naturalmente, conoscono i nostri classici. Ma quando hanno voglia di divertirsi leggono romanzi popolari, leggono Walter Scott, leggono romanzi dell’orrore inglesi (i cosiddetti Gothic Novels spesso situati in Italia, prima o poi sarà la volta della Transilvania) in traduzione francese. Non vogliono leggere uno sconosciuto scrittore italiano come te. Che dire di coloro che non conoscono il francese? Questo è, naturalmente, il mio mercato. Ma questi lettori vogliono leggere in italiano i best-seller francesi e inglesi. Il mio è un business incerto. Perché dovrei correre il rischio di pubblicare il romanzo di uno sconosciuto quando posso tradurre il meglio dall’estero? Gli editori francesi hanno testato il mercato. Sappiamo cosa vende e cosa non vende. Devo semplicemente acquistare, per qualche soldo, i diritti d’autore, o, più semplicemente rubare il testo (perchè, per fortuna, la copyright convention di Berna sarà adottata solo nel 1886) e pagare (molto poco) un traduttore - qualcuno come te - un autore in erba squattrinato che conosce il francese e può scrivere decentemente. Traducendo testi dal francese imparerai a scrivere romanzi e forse diventerai un imitatore, sconosciuto all'estero, ma pubblicato in Italia, soprattutto se adotti un nom de plume francese o inglese  ma, - chissà - potresti ottenere grande fama come autore di spaghetti novels come farà tra qualche anno il tedesco Karl May, che scrive westerns e che diventerà uno dei più venduti autori tedeschi di tutti i tempi con 200 millioni di copie vendute. Mi hanno detto che un certo Emilio Salgari, oggi bambino, vuole scrivere romanzi d'avventura. Vedremo. L’alternativa, se davvero hai talento, è quella di scrivere per la fascia alta del mercato, quella occupata dai russi, i vari Tolstoj e Dostoevskij. Non ci sono molti soldi in questo mercato, solo eterna gloria. Avrai la gratitudine degli editori di domani. Sarai morto ma famoso”.

 

Un discorso molto simile si potrebbe immaginare da un impresario inglese di fronte a un compositore inglese che propone di scrivere opere liriche (e dunque competere con Rossini, Bellini, Verdi e Puccini). Alcuni generi sembrano infatti essere dominati da certe nazioni e hanno acquisito nell’immaginario collettivo quello che chiamerei un 'marchio nazionale'. Nell’800 l’opera lirica era prevalentemente italiana. Queste opere, a loro volta, furono sempre più costruite con un occhio al mercato europeo e poi a quello mondiale. Rossini adattava Beaumarchais (Il Barbiere di Siviglia), Donizetti Walter Scott (Lucia di Lammermoor), Verdi adattava un noto bestseller francese di Dumas figlio: La Dame aux Camélias  (La Traviata), e il suo Don Carlos era basato su un testo francese apposta per far breccia sul pubblico parigino; Puccini ambientava una delle sue opere in America (La Fanciulla del West) e un’altra in Giappone (Madama Butterfly), con un protagonista americano così come molti film europei oggi inseriscono un motif americano per assecondare il mercato statunitense.

Tutto questo cambiò nel XX secolo. Con il cinema di Hollywood, le canzoni pop, e la televisione, gli americani conquistarono una posizione di egemonia nella cultura globale.

Una volta vi era una comune cultura aristocratica internazionale: tutti gli appartenenti a questa alta cultura erano a conoscenza di una gamma molto limitata di prodotti culturali. Poi, nel XIX secolo, ci fu l’avanzata della cultura borghese. Il ventesimo secolo divenne il secolo americano con il cinema, la musica registrata, e soprattutto la televisione.

Le novità si sono susseguite a ritmo incalzante e senza gli storici forse le nuove generazioni avrebbero perso il senso di come è stata la cultura del passato.

E il futuro? Domanda che fanno molto spesso agli storici sebbene il loro mestiere sia quello di spiegare il passato. 

Le nuove tecnologie, indubbiamente, porteranno a sconvolgimenti. Ma non possiamo sapere quali saranno. Quando arrivó il cinema si disse che il teatro sarebbe sparito: la gente sarebbe andata al cinema a vedere Shakespeare e Goldoni. Invece oggi ci sono piú teatri che nel 1900. 

Si disse che il libro sarebbe anche sparito, invece una delle aziende piú grandi del mondo, Amazon cominció il suo percorso vendendo libri e li vende ancora. I libri si possono leggere in tanti modi: un ebook è sempre un libro, anche se forse non tutti sapranno cosa era stato il libro.

La televisione non ha distrutto il cinema, ma lo ha cambiato. La radio non ha eliminato i giornali. Il pericolo per i giornali, piuttosto, è il fatto che internet è un divoratore di pubblicitá. La musica rimane, ma si consuma in modi diversi e, oggi come oggi, si puó guadagnare di piú, se si è una pop star con concerti dal vivo che con Youtube, per non parlare dei dischi/CD che stanno sparendo. Insomma la cultura rimane, ma viene prodotta e trasmessa in forme diverse.

Che dire dell’origine della cultura globale? La cultura proveniva in prevalenza dall’occidente (Europa poi America). Sopravviverà anche questo primato? 

Per il momento sembra di si. La cultura popolare cinese viene consumata soprattutto in Cina. I film di Bollywood sono visti sopratutto dagli indiani (in India o nella comunità indiane della diaspora). La Nigeria è il più grosso produttore di film in Africa, ma pochi di questi vengono diffusi a livello mondiale. L’Egitto è il più grosso produttore di film del mondo arabo, ma ben pochi di questi film arrivano in Giappone, in Cina o occidente. Certo ci sono le telenovelas brasiliane e messicane e la Turchia produce le cosidette dizi (che sono telenovelas), ma il grosso della fiction mondiale, almeno per il momento, proviene dall’occidente. Ma anche se la cultura mondiale diventasse meno occidentale la cosa non dovrebbe essere motivo di rimpianto. Cambiamenti culturali sono sempre successi e il mondo è andato avanti così come continuerà, nel bene e nel male.

Il futuro, come al solito rimane misterioso. Dopotutto non molti avevano previsto la rivoluzione Khomeinista e l’arrivo del fondamentalismo islamico. Pochi avevano previsto la fine del comunismo. Pochi avevano previsto l’ascesa economica della Cina o anche la crisi del 2008. Vedremo...

 

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