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Celebrazioni manzoniane con il Presidente Mattarella a Casa Manzoni

L’immagine che accompagna la News sulle celebrazioniCelebrazioni manzoniane con il Presidente Mattarella a Casa Manzoni, ritrae la facciata della casa ripresa da Piazza Belgioioso

Casa Manzoni, restaurata da Intesa Sanpaolo, ospita una cerimonia con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della sua visita a Milano per il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, che si celebra il 22 maggio 2023.

Nella sua lunga esistenza, infatti, l’autore de I Promessi Sposi ha vissuto in molte abitazioni ma l’unica che possa essere considerata veramente sua è quella di via Morone 1 a Milano, in cui visse con la famiglia dal 1813 fino alla morte, nel 1873.

Casa Manzoni ha un legame particolare con Intesa Sanpaolo: donata nel 1937 dalla Fondazione Cariplo al Comune di Milano con il vincolo di farne la sede del Centro Nazionale di Studi Manzoniani, nel 2015, grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, è stata oggetto di un completo restauro che ha riportato tutti gli ambienti al loro splendore originario e ha reso Casa Manzoni un ancor più vivace polo culturale aperto agli studiosi e all’intera cittadinanza.

Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo nonché Presidente Onorario della Fondazione Centro Nazionale Studi Manzoniani, in occasione della visita del presidente Mattarella ha tenuto un intervento sull’attualità della riflessione manzoniana. Un estratto:

“Questo riemergere, dopo un lungo scorrere carsico, dell’attenzione per Manzoni è una novità del tutto recente. L’occasione è stata il drammatico frangente della pandemia. Anche in questo caso, come nel Seicento manzoniano, Milano è stata un “avamposto” di sofferenza duramente colpito da un nemico invisibile. E’ dunque nell’Italia ferita dal Covid che Manzoni ritrova molti dei cosiddetti “lettori comuni”, che lo riscoprono come patrimonio proprio.”

 

Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo e Presidente Onorario della Fondazione Centro Nazionale Studi Manzoniani

Il testo completo dell’intervento di Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo

Signor Presidente, la Sua presenza qui oggi è un omaggio a una delle figure fondamentali della nostra storia. Alessandro Manzoni visse sessant’anni in questa casa che fu testimone di affetti, gioie e dolori, ma anche laboratorio di pensiero e di altissime intuizioni poetiche.

Manzoni è tradizionalmente collocato Nel “canone” della letteratura italiana in posizione centrale accanto a Dante, perché la sua opera ha contribuito in modo decisivo alla costruzione e alla diffusione della lingua italiana. E la lingua è stata un fattore decisivo per l’unificazione nazionale.

I promessi sposi è il grande romanzo storico, modello per eccellenza della lingua unitaria, su cui generazioni di italiani hanno imparato a scrivere e a pensare. Quasi una Bibbia laica, in cui si sono riconosciuti o comunque specchiati italiani di ogni livello sociale e di ogni fede. Qui, in questa casa, un emozionato Giuseppe Verdi incontrò il 30 giugno 1868 l’Autore da lui ammirato e quasi venerato, al quale avrebbe poi dedicato l’immortale Requiem.

Manzoni è stato una figura di riferimento in diverse fasi della nostra storia nazionale. A Brescia, l’Associazione studentesca “Alessandro Manzoni”, fondata nel 1909, raccoglieva giovani desiderosi di nutrirsi dell’insegnamento dello scrittore, che appariva loro capace di conciliare sentimento nazionale, fede religiosa, valore della coscienza. Ad essa si iscrisse quindicenne il giovane Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, che durante il fascismo avrebbe formato la classe dirigente che a metà del secolo scorso ha concorso alla fondazione della democrazia repubblicana.

Non si può tuttavia ignorare che nel corso del Novecento il magistero manzoniano è venuto affievolendosi. Certo, scrittori autorevoli, come Gadda, Sciascia, Primo Levi, Calvino, hanno continuato a considerare Manzoni come una stella polare. Ma è indiscutibile che l’interesse per l’opera manzoniana nel corso della seconda metà del Novecento si è progressivamente ridotto. Per quali cause? Per il cambiamento del clima culturale, per i contrastanti giudizi espressi da alcuni autori (da Gramsci a Moravia), per lo scivolamento della sua opera in un’area grigia in cui la lettura del grande romanzo diventava obbligatoria in ambito scolastico, mentre al di fuori veniva trascurata?

Lasciando aperti questi interrogativi, intendo qui richiamare l’attenzione sulle circostanze e le ragioni che sembrano invece indicare il riattivarsi di un interesse, tanto letterario quanto civile e morale, nei confronti dell’opera manzoniana.

Questo riemergere, dopo un lungo scorrere carsico, dell’attenzione per Manzoni è una novità del tutto recente. L’occasione è stata il drammatico frangente della pandemia.

Era il 26 febbraio 2020 quando, a lockdown non ancora proclamato, il preside di un liceo scientifico milanese, primo fra tutti, scriveva una lettera ai propri studenti invitandoli a leggere Alessandro Manzoni, nello specifico i capitoli 31 e 32 dei Promessi sposi: “In quelle pagine”, avvertiva, “c’è già tutto: l’idea della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, l’emergenza sanitaria”.

Anche in questo caso, come nel Seicento manzoniano, Milano è stata un “avamposto” di sofferenza duramente colpito da un nemico invisibile. In una situazione così drammatica quel preside ha saputo subito individuare nella letteratura, e nella scienza, degli indicatori di rotta per attraversare la tempesta.

E’ dunque nell’Italia ferita dal Covid che Manzoni ritrova molti dei cosiddetti “lettori comuni”, che lo riscoprono come patrimonio proprio. In effetti, Manzoni è impareggiabile nel descrivere la presenza del male e della corruzione nella storia umana. “Un senso di catastrofe universale” aleggia in tante pagine dei Promessi sposi – anche se le rappresentazioni più crude si trovano nel Fermo e Lucia, opera di più marcata impostazione giansenista – “coinvolgendo non solo le colpe degli uomini, nelle disgrazie e nei lutti che portano con sé, ma persino la natura” (Bàrberi Squarotti).

L’editoria, antenna pronta a captare i segnali della contemporaneità, ha percepito questa nuova attenzione a Manzoni e, complice la scadenza dell’anniversario della scomparsa, ha ristampato significativi testi del passato e ha pubblicato opere di nuovi autori non appartenenti all’accademia, né alla cerchia degli addetti ai lavori letterari. Inoltre la recente pubblicazione in America della nuova traduzione dei Promessi sposi, costata più di dieci anni di lavoro a Michael Moore, già traduttore di Primo Levi, è stata salutata con ammirazione dalla critica d’oltreoceano, Wall Street Journal compreso, e ha prodotto la nascita on line di circoli di lettura del romanzo.

Questo è ciò che sta accadendo: l’uomo d’oggi sente nuovamente il bisogno di conoscere gli esiti – quelli poetici e quelli esistenziali, quelli risolti e quelli problematici – della grande ricerca che ha occupato l’intera vita di Manzoni e che è al centro della sua opera: la ricerca sulla giustizia e sulla storia umana, cioè sulla giustizia che non si realizza nella storia umana. Detto in termini estremi: la giustizia terrena considerata “impossibile”. Un pessimismo che Manzoni ha espresso in modo radicale nella Storia della colonna infame.

Un mio concittadino – che Lei, Presidente, ha conosciuto e stimato – Mino Martinazzoli, ha dedicato acute riflessioni, da avvocato penalista, alla Storia della colonna infame, giungendo a definire Manzoni “un grande solitario italiano”, impolitico non perché ignorasse Machiavelli, ma perché non gli riusciva di comprendere un potere disgiunto dalle ragioni morali.

La presenza del male nella storia umana (storia “grande” dei popoli e storia “piccola” dei singoli), ossia del predominio dei forti e malvagi sugli umili e sugli onesti, è al centro delle riflessioni di Manzoni ed è anche il filo conduttore, quasi assillante, del romanzo.

Ma il pathos di questa meditazione è accresciuto enormemente dall’interrogativo sulla conciliabilità di tale condizione umana con la fiducia nella Provvidenza divina. La presenza del male nel mondo impone infatti al credente di riflettere non solo sulla giustizia umana ma anche su quella divina.

In Manzoni troviamo a questo riguardo parole terribili (altro che prudenza e calcolo, altro che il campione di retorica apologetica!). Il “mite” Manzoni leva questo grido: “Il pensiero si trova con raccapriccio condotto ad esitare tra due bestemmie che son due deliri: negare la Provvidenza o accusarla”.

La grandezza di Manzoni si manifesta proprio nel fatto di indagare il male e l’ingiustizia nella storia da due opposte visioni: quella “laica” e razionale (pessimista, quasi disperata) e quella religiosa (che concepisce la Provvidenza come un ordine universale che ricomprende il tempo e l’eternità).

L’itinerario tormentato di Manzoni sfocia in un mistero in cui possono riconoscersi credenti e non credenti.

Ritornando in questa casa, avvertiamo il conforto di una voce alta e ispirata, che ci aiuta a superare il senso di vuoto, per la carenza di riferimenti ideali, che caratterizza il mondo in cui viviamo.

Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo

22 maggio 2023

Il restauro di Casa Manzoni

Seppur richiedente un numero complesso di operazioni, il restauro delle superfici esterne e interne della Casa del Manzoni è stato svolto in tempi estremamente rapidi. Vari i fattori che hanno garantito il risultato.

In primo luogo, è stata costituita una squadra che comportava un elevato numero di persone coinvolte nel cantiere. In media, ogni giorno, 15 specialisti (circa 9 donne e 6 uomini), tutti giovani – l’età media si aggira sui 30 anni - assunti a tempo indeterminato dalla società che ha curato il restauro, hanno partecipato al cantiere.

In secondo luogo, il numero di ore di lavoro dedicate al cantiere è stato elevatissimo. Il restauro, che ha previsto interventi su 5800 mq di superfici interne (di cui 1600 mq di decorazioni), oltre 300 mq di soffittature lignee a cassettoni, 250 mq di pavimentazioni storiche e 1400 mq di facciate, ha comportato l’impiego di oltre 12.000 ore di lavoro, tra di maggio e di settembre 2015.

Questa rapidità è stata resa possibile da uno studio precedente i lavori molto articolato, diviso nelle seguenti fasi:

  • sviluppo e completamento della ricerca storica e conoscitiva indirizzata ad acquisire le necessarie informazioni e consapevolezze in merito all’edificio ed alle sue trasformazioni;
  • sviluppo di una indagine stratigrafica per l’individuazione degli strati soprammessi, alla definizione di eventuali vesti cromatiche assunte dall’edificio nel tempo, alla ricerca di precedenti impianti decorativi;
  • sviluppo di una fase analitica di laboratorio indirizzata alla caratterizzazione dei materiali di finitura e delle loro condizioni di degrado.

Gli interventi sulle superfici esterne ed interne di Casa Manzoni sono consistiti sostanzialmente in “manutenzioni conservative” delle superfici edilizie, sia esterne in cotto e intonaco che su quelle interne dipinte con similari criteri di intervento, diversificando i prodotti di impiego e la loro concentrazione o la diluizione secondo le caratteristiche porosità e assorbimenti dei diversi supporti come delle loro specifiche condizioni di degrado.

Dal punto di vista concettuale, le procedure di intervento hanno visto l’applicazione di criteri, oramai largamente condivisi, che costituiscono i fondamenti metodologici della "conservazione", ossia:

  • Minimo intervento, cioè prevedere solo operazioni strettamente necessarie e tendenzialmente finalizzate e ridurre l'incidenza delle azioni di degrado sulle superfici
  • Compatibilità tecnologica tra materiali esistenti e materiali di apporto in fase di manutenzione
  • Tendenziale reversibilità dei materiali/prodotti di nuovo apporto in caso di accertato errore
  • Distinguibilità tra superfici esistenti e superfici di nuovo apporto o integrazione

Particolarmente impegnative le facciate su piazza Belgiojoso e via Morone, caratterizzate dalle decorazioni in terracotta di Andrea Boni, rimarchevoli non solo per le decorazioni splendide, ma anche per il chiaro “messaggio” di schieramento alla “rivolta lombarda”.

L’argomento merita una particolare attenzione in specie per valorizzare la produzione artistica e imprenditoriale di un maestro campionese, appunto Andrea Boni, che, nella Milano e nella Lombardia del crepuscolo della dominazione austriaca e nei primi decenni dell’Unità d’Italia, si costituisce come segno, insieme popolare e colto, che, attraverso la riproposizione di un linguaggio tipicamente italico, rinascimentale e barocco, diviene interprete e manifesto delle attese risorgimentali.

E infatti all’indomani dell’unità nazionale (1864) Alessandro Manzoni, alto interprete della “rivolta lombarda”, volle adornare la propria casa con gli apparati decorativi in argilla rossa su progetto del Boni.

Da queste considerazioni, a livello di restauro, si sono sviluppati rilievi analitici sui degradi dei cotti, anche attraverso indagini di laboratorio, sia di caratterizzazione che di individuazione dei fenomeni di degrado. Sulle superfici in cotto modellato sono stati effettuati una pulitura superficiale, il consolidamento corticale ed in profondità - per ottenere la riadesione delle parti distaccate – l’integrazione delle parti mancanti con calchi ed idonei trattamenti superficiali. Sulle superfici intonacate è stata prevista la pulitura, la riadesione in profondità delle aree distaccate, il consolidamento corticale e l’applicazione di una velatura inorganica sulle superfici con lo scopo di uniformare i cromatismi e ridurre le difformità cromatiche degli intonaci originali.

Le superfici interne della Casa sono caratterizzate da vari tipi di decorazione (a mezzo fresco, a secco, a stucco lucido finto marmo, ecc.) su diversi supporti (ad intonaco, in legno a cassettoni), che hanno richiesto, a livello di restauro, operazioni di preconsolidamento delle superfici particolarmente degradate, l’asportazione dei depositi superficiali più incoerenti depositati sulla superficie pittorica, la pulitura (a secco, ad impacco) delle superfici dipinte. Infine si è concluso con il consolidamento in profondità delle aree in fase di distacco, il consolidamento della pellicola pittorica, la stuccatura delle lesioni e la integrazione pittorica delle lacune.

La storia della casa del Manzoni

Nella sua lunga esistenza Alessandro Manzoni ha vissuto in molte case, ma l’unica che possa essere considerata veramente sua è quella di via Morone 1.

Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel (1808) e la nascita di Giulietta, lasciando quasi definitivamente Parigi, nel 1810 la famiglia Manzoni trova una provvisoria sistemazione in via San Vito al Carobbio n. 3883, e poi una più gradita ospitalità nel palazzo Beccaria, al 6 (allora n. 1571) di via Brera: qui, dove era nata Giulia, il 21 luglio 1813 nacque il secondogenito Pietro.

La famiglia, nei pronostici sempre più numerosa, e il desiderio di una dimora stabile in Milano spinsero Alessandro ad acquistare un palazzetto in contrada del Morone all’angolo con piazza Belgioioso, chiamata di San Martino in Nosiggia, nome della chiesa da poco lì demolita. Il palazzo, di proprietà di don Alberico de Felber, fu acquistato il 2 ottobre 1813 al prezzo di L. 107.000.

Donna Giulia Beccaria esprimeva, in una lettera allo zio Michele de Blasco del 26 luglio 1814, la piena soddisfazione per la scelta fatta: «Ci troviamo contentissimi della nostra nuova casa per l’aspetto veramente felice, sì nello inverno che nella state».

Tra le ragioni vincenti per la scelta della casa De Felber vi era anche la sua collocazione al centro della città. Il cerchio familiare era garantito dalla vicinanza dei pochi veri amici: Federico Confalonieri e Silvio Pellico in via Monte di Pietà, il Porta e i Verri in via Monte Napoleone, Vincenzo Monti in via Brera. A pochi passi sorgevano la Biblioteca Ambrosiana, la Braidense, il Gabinetto Numismatico diretto dall’amico Gaetano Cattaneo, le librerie di Santa Margherita e della Contrada dei Servi. Una centralità topografica che permetteva di unire le esigenze dello studioso alle istanze affettive.

Giulia, ben consapevole di questo privilegio, alcuni anni dopo, quando la tentazione di ritornare a vivere a Parigi si fece pressante, e le ristrettezze economiche suggerivano la vendita della villa di Brusuglio e della stessa casa di via Morone, si raccomandava al fratello (da Parigi, 4 gennaio 1820): «fa tu fa tu fa tu, ma ti avverto che devi assumerti di cercarci poi a suo tempo un appartamento ne’ tuoi e nostri contorni, non voglio dipartirmi da quel cerchio magico, ricordatene bene».

Subito dopo (13 marzo 1820) si trasforma però in progettista-restauratrice, sottoponendo al fratello il piano degli impegnativi lavori: «Io tengo la casa di Milano e ti prego di rivedere la mia lettera antecedente dove accennai tanti accomodamenti per vedere di fare la scelta degli indispensabili e da farsi sul momento».

Molti lavori vennero eseguiti, altri dilazionati, ma via via negli anni la casa prendeva forma secondo i bisogni di una famiglia di dodici membri: Giulia, Enrichetta e Alessandro con le loro esigenze diverse, nove figli di varie età: mentre Giulietta era già una ragazza “da marito” ammessa alle conversazioni “dei grandi”, Filippo e Matilde, gli ultimi nati, avevano ancora bisogno della bonne. Le numerose stanze, dislocate su tre piani, offrivano un comodo alloggio anche alla servitù e un’ospitalità accogliente agli amici. A Manzoni è riservata una stanza che guarda al giardino, appartata, dove potersi ritirare a leggere, meditare, scrivere.

Proprio questa stanza sarà un luogo perfetto dove ricevere gli amici intimi e gli ospiti illustri che negli anni a venire, con l’aumentare della fama dei Promessi sposi, diventeranno sempre più numerosi e frequenti. Mentre Renzo, Lucia, la monaca di Monza, l’Innominato, la Milano della peste prendono volto e parola al piano terreno, al primo si svolge la vita quotidiana dei familiari: Giulia sovrintende, Enrichetta si occupa dell’educazione dei figli, entrambe collaborano a mantenere la casa accogliente e festosa.

Mary Clarke è spettatrice incantata dalla serenità festosa dei giochi di famiglia nell’inverno del 1824, e ne racconta a De Gubernatis:

«[…] je dois avouer que nous y jouions bien souvent une partie de Colin Maillard, Pierre et Juliette la fille ainée, et madame Manzoni, qui, s’étant mariée a 16 ans, était plutôt la compagne de ses enfants anés. Manzoni jouissait de ces parties autant que nous, à sa façon, mais ne s’y joignait pas; il causait avec M. Fauriel et avec ma mère. Il me souvient encore, comme si c’était hier qu’après une partie singulièrement animée, quand elle fut finie, il mit les bras autour de la taille de sa femme, disant: “Tu t’es bien amusée, ma femme”; et qu’elle confirmait ce jugement. Le fait est que c’était un intérieur charmant. La personne qui répandait un grand charme dans cet intérieur était la mère de Manzoni, qu’on appelait Donna Giulia».

Con la morte di Enrichetta, a quarantadue anni nel Natale del 1833, e quella, ancor più prematura, di Giulietta, a soli ventisei anni, l’atmosfera si fa inevitabilmente più mesta, le voci diventano bisbigli per trattenere quel dolore inesprimibile. Alessandro vorrebbe rimanere chiuso nello studio, fatica a trovare parole da imprimere sulla carta e sente la mente inoperosa.

Una accettata serenità ritorna dopo il matrimonio con Teresa Borri Stampa, che nel 1837 entra nella casa di via Morone accompagnata da un figlio diciassettenne, e dalla consapevolezza di essere moglie del più illustre e ammirato scrittore d’Italia.

Teresa si insedia al primo piano, riservandosi un ampio «camerone-stanzone» affacciato al giardino, dal quale, anche attraverso una scaletta di comunicazione con lo studio, potrà osservare dall’alto gli incontri di Alessandro.

Da questa unione sicuramente non infelice arriveranno inattese due gemelline, una nata morta, l’altra sopravvissuta solo poche ore: il dispiacere e l’età di donna Teresa, ormai quarantaseienne, aprono le non più liete stanze a malanni e stanchezze.

La legge e l’ingiustizia del tempo, i matrimoni e le morti premature delle figlie e dei figli (solo Enrico e Vittoria gli sopravvivranno) volevano forse predisporre un luogo di silenzio, perché Alessandro Manzoni, solo, attendesse l’ultima visita della morte, il 22 maggio 1873.

Dopo la sua morte la casa venne posta in vendita dagli eredi al prezzo di L. 280.150. Fu acquistata dal conte Bernardo Arnaboldi Gazzaniga, il quale, rispettoso delle memorie manzoniane, permise la visita allo studio e alla camera da letto nell’anniversario dell’«Illustre Defunto».

Nel 1919 la casa passò ad Attilio Villa e nel 1922 ai fratelli Dubini.

Nel 1937, divenuta proprietà della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, fu da questa donata al Comune di Milano purché fosse destinata in uso perpetuo ed esclusivo al Centro Nazionale Studi Manzoniani, istituito con R.D. Legge 8 luglio 1937, n. 1679.

In data 20 marzo 1941 il fabbricato venne passato dal Centro, che ne manteneva perpetuo e completo usufrutto, in proprietà al Comune di Milano. Il Centro trovava però la casa in parte alterata dalle successive proprietà, che avevano modificata la distribuzione e la destinazione dei locali.

Sotto la guida dell’allora conservatore Marino Parenti vennero avviati i lavori di ripristino per riportare la casa nelle condizioni in cui si trovava alla morte di Manzoni.

I lavori di restauro vennero interrotti per le vicende della Seconda guerra Mondiale; furono poi ripresi e completati negli anni ’60 quando, il 15 dicembre 1965, venne inaugurato il Museo Manzoniano.

Cinquant’anni dopo, in concomitanza di Expo 2015, una nuova opera di ristrutturazione è stata completata grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, con l’intenzione non solo di offrire ai visitatori un percorso espositivo più ampio, ma anche di rendere Casa Manzoni un ancor più vivace polo culturale aperto agli studiosi e all’intera cittadinanza.

 

LE TAPPE FONDAMENTALI DELLA CASA

1813, 2 ottobre. Con atto del notaio don Giorgio De Castillia, Alessandro Manzoni acquista la casa in Contrada del Morone, 1171, da don Alberico De Felber, di nobile famiglia austriaca, al prezzo di Lire 107.000.

1814, 9 febbraio. «Nous avons achété une maison où il y a un grand jardin d’à - peu - près un dixième d’arpent, où je n’ai pas manqué de planter des liquidambars, des sophora, des thuya, des sapins qui, si je vis assez, viendront quelque jour me trouver par la fenêtre … » (Alessandro Manzoni a Claude Fauriel).

1863. Manzoni affida all’architetto Andrea Boni il restauro delle facciate su piazza Belgioioso e due campate di via Morone.

1874, 10 ottobre. In tale data è bandita la vendita all’asta di Casa Manzoni, al prezzo di Lire 280.150, offerti dall’ingegner Federico Toni su mandato del Conte Bernardo Arnaboldi Gazzaniga.

1938, 17 marzo. Con Regio Decreto Legge n. 193, art. I, è stabilito che: «la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde procederà, per causa di pubblica utilità, all’acquisto, previe operazioni di esproprio, dello stabile posto in Milano a Via Morone, 1, angolo di Piazza Belgioioso, già di proprietà di Alessandro Manzoni che vi ebbe la sua casa di abitazione. / Detto stabile sarà in perpetuo assegnato al Centro nazionale per gli studi manzoniani».

1941, 20 marzo. Con atto n. 24497/4096 di rep. del notaio Giuseppe Pedalino, lo stabile viene donato dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde al Comune di Milano, «con la destinazione di assegnazione in perpetuo a carattere di uso pubblico al Centro Nazionale Studi Manzoniani, con sede in Milano».

 

LA CASA DEL MANZONI E INTESA SANPAOLO

E’ dal 1938, con il dettame del Regio Decreto Legge, che la storia della Casa del Manzoni si intreccia con quella di Intesa Sanpaolo. A seguito dell’apertura al pubblico, nel 1965, del Museo Manzoniano, costituito con opere del Centro stesso, della Biblioteca Braidense, delle Civiche Raccolte d’Arte, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, confluita successivamente in Intesa Sanpaolo, promuoveva nel 1973, in occasione del primo centenario della morte di Alessandro Manzoni, il restauro della facciata su piazza Belgioioso. Nel 1985, per il secondo centenario della nascita di Alessandro Manzoni, la stessa Cassa di Risparmio garantiva il restauro di parti strutturali e della facciate interne. Nel 2000, la Banca interveniva per assicurare altri interventi finalizzati alla sicurezza. Nel 2015, Intesa Sanpaolo, mettendo a disposizione un ingente contributo, ha garantito il restauro integrale della Casa e la proposta di un nuovo percorso museale definito con un taglio scientifico nuovo, secondo i più aggiornati orientamenti museologici e museografici. 

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