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Cultura

Essere ottimisti: intervista a Luciano Canova

Esattamente vent’anni anni fa usciva lo spot di una famosa catena di negozi di elettronica in cui il poeta romagnolo Tonino Guerra rincuorava al telefono un suo amico così: «Gianni l’ottimismo è il profumo della vita». Era il 2003: la Russia di Vladimir Putin aveva invaso militarmente un paese dell’Est Europa, la Cecenia, Lula era presidente del Brasile e l’estate fu la più calda mai registrata. Vent’anni dopo i carri armati russi hanno invaso un altro Paese dell’Est Europa, l’Ucraina, Lula è ancora il presidente del Brasile, con qualche sosta in carcere in mezzo, e ogni estate si preannuncia la più calda di sempre a causa del cambiamento climatico.

Malgrado l’aumento dell’inflazione, la scarsità di materie prime e le tensioni geopolitiche, molti riescono a rimanere ancora ottimisti. Forse perché in questi vent’anni sono accadute anche tante cose positive. La povertà globale è diminuita, la scolarizzazione e l’alfabetizzazione sono cresciute costantemente; abbiamo preso impegni seri per tutelare il pianeta e la rivoluzione tecnologica ha connesso ancora di più il mondo semplificando la vita delle persone tra smartphone, algoritmi e intelligenza artificiale, l’aspettativa di vita è aumentata.

Il contributo di Esther Duflo e Abhijit Banerjee, che insieme hanno vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2019, sul magazine di Linkiesta in collaborazione con il New York Times si intitola: “Il futuro ci sembrerà meno fosco se lo guarderemo come se fosse lo scarabocchio di un bambino”.

Il più grande equivoco sull’ottimismo è confonderlo con la superficialità. L’ottimista non nasconde ai suoi occhi i problemi del mondo.

Non ignora le ansie con cui conviviamo. La guerra in Ucraina che continua da oltre un anno, la pandemia da Covid-19 che diventa endemica, l’inflazione si ostina a rimanere alta. L’ottimista sa però che anche in passato abbiamo avuto delle crisi e – sarà anche una frase fatta – ma da quelle crisi ne siamo usciti migliori.

Prendiamo per esempio gli anni Sessanta, considerati da tutti anni di rivoluzione culturale sociale e spirituale. Possiamo scegliere di guardare in due modi a quella decade: concentrarci sulla guerra del Vietnam, l’assassinio di Kennedy e la crisi dei missili cubani. Oppure può pensare all’atterraggio sulla Luna, l’invenzione del laser e il primo trapianto di cuore umano. E lo stesso discorso si può fare per gli altri decenni: anni Settanta, Ottanta, Novanta e via dicendo.
 

Restare ottimisti

Restare ottimisti

16:03

Luciano Canova: essere ottimisti è complesso, in senso letterale

Il campo delle ricerche di Luciano Canova, economista e divulgatore scientifico, è il design comportamentale e la misurazione della felicità. Per il Saggiatore ha scritto un libro su «come affrontare l'inatteso ed evitare di esserne travolti», per Mondadori «il metro della felicità». Gli abbiamo chiesto come si fa a restare ottimisti, fare di tutto perché la felicità si realizzi e non sia solo un indicatore, in un mondo di notizie che non lo sono.
«Secondo me, esattamente come poi fanno Duflo e Banerjee nell'articolo, il tema è avere chiara la complessità di cosa vuol dire essere ottimisti – risponde Canova –Cioè qual è la percentuale di nuvole oltre la quale una giornata da bella diventa brutta o viceversa? Ecco, secondo me sull'ottimismo dobbiamo avere esattamente lo stesso atteggiamento. E mi sembra che l'ancora su cui puoi fare affidamento per valutare metricamente questo concetto è proprio quella dei fatti. Partire dai fatti, stare dentro quelli e tenere ovviamente conto della serietà dei problemi, ma avere proprio ben chiaro che si può essere contemporaneamente ottimisti e avere molta contezza dei problemi che esistono nel mondo»

Erik Angner: diffidare dai guru, ammettere gli sbagli

Un problema potrebbe stare proprio nel concetto di dibattito. L’incontro-scontro tra ottimisti e pessimisti non offre soluzioni: il mondo è semplicemente troppo confuso per avere una idea chiara. O una sola. L’ottimismo si fa sentire anche attraverso la fiducia in ciò che può fare l’uomo. Allora la soluzione può essere fare un passo indietro: non tentare di convincere i pessimisti, ma agire con l’ottimismo di un bambino senza sapere come andrà il futuro, come propone l’articolo di Duflo e Banerjee.
Spesso sugli economisti abbiamo idee romanzate, sul fatto che la professione consista nel fare previsioni sbagliate e poi spiegare perché erano sbagliate. Oltre questo stereotipo da pop culture, come ci si difende – anche sul versante accademico da questa tendenza a drammatizzare che forse è un po’ comune a entrambi i rami? «Cito se posso una lettura che consiglio di un libro che è appena uscito, di un filosofo ed economista e secondo me prezioso che si chiama Erik Angner».
Angner ha due dottorati, in economia in filosofia. Il volume si intitola “How Economics can save the World”, come l'economia può salvare il mondo. «Però è un libro che professa grandissima umiltà e parte proprio da questo diffidare dei guru – riprende Canova – nel senso che l'economia non è una scienza sociale chiamata a fare previsioni, o meglio fa analisi di scenario, e quindi ovviamente ci sono delle previsioni ma sono previsioni dentro degli scenari che partono da assunzioni. Quindi non è determinismo: bisogna diffidare in primis di quelli che fanno i deterministi."
Un altro tema, introdotto da Philip Tetlock, sono i «Super Forecaster». Hanno un nome un po’ da super eroi: ma chi sono i Super Forecaster? Sono le persone più brave non tanto a prevedere il futuro, ma ad affrontare il futuro. Sono quelle più capaci di prendere l'evidenza e quindi di dire “mi sono sbagliato” se si sono sbagliate e cambiare. Non vuol dire, tra l'altro, cambiare orizzonte nelle attese, ma avere la serenità in primis di non essere monopolisti nella verità.

L’elefante invisibile: le parole del pragmatismo positivo

Insomma, nessuno ha la verità in tasca. Prima di preoccuparci – o per capire quanto farlo – una buona tecnica può essere rintracciare i suoi argomenti e quanto siano aderenti ai fatti. Anche perché, e qui torniamo all’articolo di Esther Duflo e Abhijit Banerjee, le grandi innovazioni sono state raggiunte nonostante il contesto di partenza e proprio per risolvere problemi che sembravano insormontabili. Questo “credo”, raccontano gli autori, li ha aiutati a condurre una vita felice e persino a convincersi di poter contribuire in qualche modo al benessere globale.

Uno dei libri di Canova, “L’elefante invisibile”, è un manuale che svela i meccanismi mentali che ci impediscono di affrontare l’inatteso, ma propone anche soluzioni per tornare ad avere fiducia nel futuro

Insomma, non è essere ottimisti pensare che oggi le cose vadano meglio rispetto a venti anni fa. È un fatto.

Ne abbiamo parlato anche nel secondo episodio di questa serie, quando abbiamo scoperto che Thomas Piketty, che pure ha fama di pessimista, ha una visione positiva del futuro. Certo, l’equilibrio è fragile. Basta immergersi nel ciclo delle notizie perché vacilli ciò che abbiamo imparato. D’accordo, ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo: ma concentriamoci sulle soluzioni. Perché ci sono. Calibriamo il linguaggio, diffidiamo dai monopolisti della verità. Facciamo nostro questo che, se non volete chiamarlo ottimismo, è un pragmatismo positivo

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