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Economia

Merito ed equità tra passato e presente

È possibile affermare che la meritocrazia sia uno dei presupposti delle società moderne occidentali.
Quando facciamo un colloquio di lavoro ci aspettiamo che la nostra candidatura sia esaminata secondo un principio di equità.
E proviamo indignazione al primo sentore di nepotismo, favoritismo o discriminazione. Nel suo contributo scritto per Linkiesta Magazine - Turning points in collaborazione con il New York Times, il giornalista Alan Wooldridge scrive che forse diamo troppo per scontato tutto ciò. E passa in rassegna lo stato di salute della meritocrazia, che nelle società occidentali, di cui pure è parte fondante, è in pericolo.

Guerra alla meritocrazia

Guerra alla meritocrazia

14:31

Il mondo premoderno tra subordinazione e clientelismo

Basta guardare la storia dell’Occidente: non è necessario tornare molto indietro nel tempo per trovare un mondo in cui i lavori passavano di padre in figlio o erano ceduti al miglior offerente. Basta guardare il resto del mondo per trovare governi pieni di corruzione e di favoritismi. L’idea meritocratica è intrinsecamente fragile perché gli esseri umani sono biologicamente programmati per favorire i propri amici e i propri parenti rispetto agli estranei.

Se non si coltiva, dunque, sostiene Wooldridge, la meritocrazia scomparirà, perché tenerla in piedi è faticoso e quasi contro natura. Il mondo premoderno si fondava su presupposti che sono agli antipodi rispetto alla meritocrazia: sul lignaggio più che sui risultati raggiunti, sulla subordinazione volontaria più che sull’ambizione. La società era governata da proprietari terrieri che erano tali per via ereditaria (e a capo dei quali c’era un monarca), che avevano raggiunto la loro posizione combattendo e depredando e che poi giustificavano il loro ruolo attraverso una combinazione di volontà di Dio e di antica tradizione. L’ambizione e l’autopromozione erano temute: il criterio principale con cui le persone venivano giudicate non era legato alle loro capacità individuali, ma al loro rapporto con la famiglia e con la terra. I lavori non erano assegnati sulla base del merito di ciascuno ma attraverso tre grandi meccanismi: i legami familiari, il clientelismo e l’acquisto. E anche i re ereditavano la loro posizione indipendentemente dalla loro capacità di governare il Paese.

 

La meritocrazia come presupposto per il mondo moderno

L’idea meritocratica ha assaltato, in modo rivoluzionario, tutti questi presupposti, ha cambiato il concetto di élite riformando il modo in cui la società assegna i migliori posti di lavoro. Ha trasformato l’istruzione enfatizzando il valore delle pure competenze accademiche. E ha fatto tutto questo ridefinendo la forza elementare che determina le strutture sociali. 

 

Ma l’idea meritocratica è stata addirittura qualcosa di più, è stata un tentativo di mitigare uno degli istinti primari del genere umano – è cioè l’istinto di favorire i propri figli rispetto a quelli degli altri – in nome del bene collettivo.

«In tutto il regno animale», ha osservato la biologa Mary Maxwell, «il nepotismo è la norma per tutte le specie sociali e anzi potrei spingermi ancora più in là dicendo che il nepotismo definisce le specie sociali».
Questo aiuta a comprendere la giravolta intellettuale di Platone ne “La Repubblica”. Platone, che è stato il primo occidentale a redigere un progetto meritocratico, ha preso posizione a favore della mobilità sociale.  Platone riteneva che l’unico modo per impedire che le famiglie potenti si accaparrassero le posizioni migliori e che le famiglie più modeste fossero ignorate fosse una rivolta estrema contro la natura: sottrarre i bambini ai loro genitori naturali per allevarli in comune e proibire ai “guardiani” di possedere proprietà alcuna in modo che anteponessero il bene collettivo a quello individuale.

L’idea meritocratica è stata un presupposto delle quattro grandi rivoluzioni che hanno creato il mondo moderno. La più determinante tra queste è stata la Rivoluzione industriale che ha trasformato le basi materiali della civiltà e ha scatenato le energie dei self-made men.

E tutto ciò è stato rafforzato da una successione di rivoluzioni politiche. La Rivoluzione francese era dedita al principio della “carriera aperta a tutti i cittadini di talento”: i privilegi feudali furono aboliti; l’acquisto dei posti di lavori fu proibito; le scuole di eccellenza furono rafforzate. I soldati di fanteria che marciarono attraverso l’Europa furono tutti incoraggiati a pensare di avere nel loro zaino un bastone da maresciallo di campo.

La Rivoluzione americana fu guidata da una visione di uguaglianza delle opportunità e di competizione corretta. Thomas Jefferson parlò di rimpiazzare l’«aristocrazia artificiale» data dal possesso di terra con l’«aristocrazia naturale» determinata «dalla virtù e dal talento».

La Gran Bretagna è stata il palcoscenico della più sottile di queste rivoluzioni, la Rivoluzione liberale, che vide un trasferimento del potere dall’aristocrazia terriera all’aristocrazia intellettuale senza che fosse esploso un solo colpo. I rivoluzionari prima sottoposero le istituzioni esistenti, come le cariche pubbliche e le università, alla magia della competizione aperta e degli esami scritti e poi costruirono gradualmente una scala delle opportunità che poteva portare dalla scuola di paese fino alle guglie delle più ambite università. La “Old Corruption”, come un tempo era chiamato il governo, fu sostituita da quella che era forse la più onesta ed efficiente amministrazione pubblica del mondo. E Oxford e Cambridge furono trasformate da nidi di sinecure in serre in cui coltivare l’intelletto.

Dal merito all’equità all’interno della società

Una rivoluzione meritocratica conduceva poi a un’altra rivoluzione meritocratica. La “scala delle opportunità” rivelò che tra le persone comuni c’era molto più talento di quanto i rivoluzionari liberali non avessero immaginato. E l’applicazione di un’“aperta competizione” fra gli uomini fece inevitabilmente sorgere una domanda: «E le donne?».
Inoltre, la contraddizione alla base del documento fondativo dell’America non avrebbe potuto rimanere tale per sempre: se gli uomini erano nati naturalmente uguali fra loro, come si sarebbero potuti tenere i neri in catene?
Così, gruppi fino a quel momento emarginati approfittarono dell’idea meritocratica per chiedere una più equa possibilità di avere successo nella vita.
L’esplosione di energia che ne risultò ha portato a una società più giusta e più produttiva:

i Paesi meritocratici hanno una crescita più veloce dei Paesi non meritocratici. Le aziende pubbliche che assumono persone in base al merito sono più produttive delle aziende familiari che lasciano spazio ai favoritismi. E le migrazioni di massa scorrono soltanto in una direzione: dai Paesi che non hanno compiuto la transizione meritocratica a quelli che invece l’hanno compiuta.

Questa idea è però sotto attacco ovunque, sostiene Wooldridge. Alcuni pensatori sostengono che la meritocrazia sia spesso un travestimento per il privilegio dei bianchi o che sia addirittura un’arma per spingere le minoranze nella miseria. I populisti di destra sostengono che sia invece l’ideologia di quell’élite globale autocompiaciuta che di recente ha fatto così grandi pasticci nella gestione del mondo. 

La guerra alla meritocrazia è in corso

Chi avanza delle critiche ha alcuni punti a suo favore: l’idea meritocratica corre il rischio di diventare decadente. Stiamo assistendo a un pericoloso matrimonio tra denaro e merito poiché i ricchi acquistano opportunità educative mentre i poveri devono accontentarsi di scuole qualunque: ne è testimone la trasformazione delle scuole private britanniche da istituzioni abbastanza apatiche in quelle fabbriche dell’eccellenza che sono oggi.
Abbiamo chiaramente bisogno di un’altra grande spinta per reinventare l’idea meritocratica e rilanciarla per una nuova epoca. Ma quello a cui invece assistiamo è un tentativo di smantellarla.
L’allentamento degli standard meritocratici ridurrà l’efficienza economica e questo sarà anche un fenomeno che amplifica se stesso: una delle regole su cui si può fare più affidamento nella vita è il fatto che le persone di second’ordine nomineranno sempre delle persone di terz’ordine per proteggere se stesse dal rischio che qualcuno si accorga che sono di second’ordine. È preoccupante vedere come questo spaventoso attacco ai principi meritocratici provenga tanto da destra quanto da sinistra.

La guerra alla meritocrazia avviene nel momento in cui l’Occidente sta affrontando la sua più grande sfida fino a oggi: l’ascesa della Cina e del capitalismo di Stato autoritario. La Cina è stata per molti versi la pioniera della meritocrazia: per più di un millennio è stata governata da un’élite di mandarini selezionata in tutto il Paese attraverso gli esami più sofisticati del mondo. Il sistema è morto perché non è riuscito ad adattarsi all’esplosione della conoscenza scientifica: nel 1900 le domande erano più o meno le stesse del 1600. Ma ora la Cina sta facendo rivivere il suo antico sistema meritocratico: questa volta, però, è alla ricerca di scienziati e di ingegneri più che di studiosi confuciani.
Stiamo così per apprendere che l’idea meritocratica può essere altrettanto potente al servizio dell’autoritarismo statale di quanto lo è stata finora al servizio della democrazia liberale.

La guerra al merito che è attualmente in corso è quindi una doppia minaccia per il mondo moderno. Priverà l’Occidente del suo dinamismo economico e allo stesso tempo incoraggerà i gruppi di interesse a competere per le risorse sulla base di diritti collettivi e risentimenti di gruppo.

E sposterà inesorabilmente l’equilibrio del potere verso un regime post-comunista in Oriente che non ha tempo per i diritti individuali e i valori liberali.
Abbiamo ancora la possibilità di impedire questo processo – è vero – ma soltanto se siamo disposti a coltivare e a riparare quell’idea meritocratica che in precedenza ha reso l’Occidente vincente.

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